Un individuo ossessivo avverte la presenza dentro di sé di due identità
radicalmente contrapposte fra loro: amabile/non amabile,
accettabile/non accettabile.
Tale percezione si sviluppa a partire da un attaccamento infantile
denominato “a doppia facciata”. Uno dei due genitori (l’altro è di solito
una figura di minore rilievo emotivo) è attento all’educazione morale e
sociale, ma non esprime mai il suo affetto con tenerezza o altre
manifestazioni emotive; oppure alterna atteggiamenti decisamente ostili ad
altri protettivi ed amorevoli. Ciò da’ al bambino un
senso d’incontrollabilità e imprevedibilitàriguardo alle possibili conferme e disconferme da parte del genitore e
ogni scelta per ottenerne il consenso risulta sbagliata.
Da qui si può comprendere il bisogno assoluto di certezza del
bambino, e successivamente dell’adulto ossessivo, per fronteggiare l’ambivalenza
della propria Identità.
In un individuo nevrotico,
quando affiorano sensazioni percepite estranee a sé (ad es. provare
desiderio sessuale verso qualcuno che non sia il proprio partner o in
momenti ritenuti non opportuni) la soluzione è quella di diventare ancora
più perfetto (ad es. cercare di avere il controllo totale delle proprie
emozioni) e la ricerca assoluta di certezza diviene una continua e
paralizzante ruminazione mentale.
Questa induce immagini mentali bizzarre (ad es. sentirsi fisicamente
sporchi dopo aver toccato qualcuno o qualcosa, o in determinati contesti)
che possono spesso degenerare in allucinazioni.
Tale attività cognitiva tenderà a manifestarsi emotivamente in modo intenso
ed improvviso (rabbia, senso di colpa, vergogna), il cui senso
d’incontrollabilità viene contrastato con un repertorio imponente di
rituali. Ad es., di fronte ad una sensazione di sporco, si metteranno in
atto varie attività di lavaggio, percepite purificatrici, volte ad eliminare
la sensazione di contaminazione.
I rituali, tuttavia, hanno effetti limitati nel tempo e sono fonte di
ulteriore dubbio per il timore di non averli eseguiti adeguatamente,
tendendo così a divenire ripetitivi e costituendo un ulteriore blocco
delle proprie sane attività.
La disfunzione cognitiva ossessiva, se non curata, tende a stabilizzarsi
nel tempo, come se la ricerca incessante e inutile di certezza assoluta
e di controllo totale fosse il mezzo più economico e rassicurante per
raggiungere un’identità certa, anche se negativa, rispetto al conseguimento
di un senso di unicità personale basato sulla consapevolezza dei propri
limiti e incertezze. Come risultato è abbastanza frequente che un’apparente
crisi esistenziale si trasformi in una condizione di vita fortemente
invalidante, a causa delle possibili reazioni depressive o psicotiche.
In terapia
si lavora per riconoscere e superare le crisi emotive innescate da
un’immagine contemporaneamente doppia di Sé (negativa/positiva). Sfruttando
tale percezione, e il
principio bianco/nero, tutto/nulla
tipico dell’ossessivo, si considerano tutti i vari aspetti della “presunta” negatività (l’immagine
di sé più riconosciuta), abbinando però ad essa
un
Sé positivo potenziale,
percepito realizzabile in futuro e non solo ideale.
In tal modo si riesce a fare entrare pian piano nell’orizzonte limitato
dell’individuo ossessivo, nevrotico o psicotico, ulteriori possibilità di
scelta e di rimedio ai propri eventuali errori e così anche a fare accettare
l’esistenza di limiti personali.