Sotto molteplici aspetti i normali episodi di umore melanconico o triste,
che colpiscono gli individui, assomigliano agli stati clinici della
Depressione intesa come psicopatologia.
Simili le parole usate per descrivere i sentimenti:
triste, infelice, vuoto, abbattuto, solo.
Simile il comportamento,
in particolare per quanto riguarda l’espressionemesta del viso
e l’abbassamento della voce.
Simili,
infine, alcune manifestazioni vegetative e fisiche. E’ possibile,
ad es., che una persona che ha avuto un lutto, non ha superato un esame, che ha perduto il posto
di lavoro o che sia stata piantata in asso dal suo amore, non solo si senta
scoraggiata e abbandonata, ma sia colpita da anoressia, insonnia,
suscettibilità alla fatica.
In linea di massima, gli episodi depressivi, propriamente detti, si
differenziano dagli stati normali di melanconia, in virtù della loro
maggiore intensità e durata, a causa della loro ricorrenza e per l’assenza
totale o quasi, da parte del paziente, di riconoscimento degli stati clinici
come parte del proprio Sé e della propria storia di vita.
Oltre a ciò sono presenti: un concetto negativo di sé, insieme ad
autorimproveri ed autoaccuse; desideri regressivi ed
autopunitivi (desiderio di fuggire, di nascondersi o di morire); ed
un mutamento del livello di attività psicomotoria (rallentamento o
agitazione).
In terapia possono accedere
sia pazienti clinicamente depressi, sia pazienti che
sperimentano un disagio esistenziale profondo accompagnato da
unaDepressione di tipo reattivo,ossia consequenziale ad un
cambiamento di vita vissuto come altamente destrutturante l’equilibrio fino ad
allora raggiunto. In entrambi i casi è presente una grande sofferenza emotiva.
Tanto una depressione di tipo reattivo, quanto una depressione clinica, così
come tutti gli altri disturbi nell’ordine nevrotico o psicotico,possono
insorgere in seguito ad Eventi Reali o Percepiti di Perdita:
1) lutti;
2) separazione o minaccia di separazione;
3) rivelazioni spiacevoli riguardanti una persona cara che spingono a
riconsiderare a fondo l’immagine di quella persona o del rapporto che si ha
con essa;
4) perdite e delusioni economiche o la loro minaccia;
5) un gruppo eterogeneo di situazioni problematiche implicanti alcuni elementi
di perdita, ad es. il non sentirsi più utile in un lavoro effettuato per lungo
tempo o una crisi coniugale;
6) la perdita di un oggetto tangibile considerato motivo di gratificazione o
comunque avente un valore per altre ragioni;
7) la perdita di un bene non materiale, come, ad es., la stima in se stessi,
il senso di libertà personale dopo alcuni episodi di vita per la persona
significativi;
8) un cambiamento di opinione circa una delle componenti del proprio dominio
personale, ad es., ciò che era considerato una qualità ora ha un significato
negativo;
9) una discrepanza fra ciò che ci si aspetta e ciò che si riesce ad ottenere,
cioè una delusione;
10) la fantasia o la previsione di una perdita futura, cioè la tendenza a
vivere in anticipo la perdita come se stesse accadendo in quel momento e così
si prova tristezza prima che la perdita sia avvenuta;
11) una perdita ipotetica, cioè non si è verificata nessuna perdita, ma
potrebbe accadere;
12) una pseudoperdita, la persona percepisce erroneamente un evento come una
perdita di qualche elemento del proprio dominio personale.
A questi eventi occorre aggiungere che tutti i disturbi nevrotici o
psicotici (attacchi di panico, disturbi alimentari, fobie, ossessioni e
manie comportamentali, deliri, paranoie, allucinazioni, ecc.), che non sono
classificabili nell’ordine di una patologia dell’Umore, sono spesso
accompagnati da una depressione di tipo reattivo, per il fatto che la persona
si sente triste, a volte disperata, sconfortata, ecc., per i sintomi che la
riguardano e che spesso non riesce a spiegarsi.
Non esistono tuttavia eventi oggettivamente (ossia
qualitativamente e quantitativamente per tutti) stressanti (in grado di produrre
una crisi più o meno profonda) e/o oggettivamente scompensanti (in grado di produrre una
patologia nevrotica o psicotica).
Le potenzialità critiche di un evento sono dipendenti dalla personalità unica
e irriducibile di un dato individuo. In altri termini un evento diventa più o
meno stressante in relazione al significato personale che gli viene attribuito
da ognuno di noi.
Di conseguenza, non c’è una modalità giusta, uguale per tutti noi, di
risolvere una crisi più o meno profonda.
Un cambiamento significativo potrebbe implicare un periodo soggettivo più o
meno lungo di crisi, accompagnato da emozioni intense e spesso spiacevoli, in
cui si mettono in discussione precedenti significati ed equilibri sia esterni,
sia interni di sé.
L’aspetto costruttivo e soggettivo dell’evento stressante e scompensante
risulta molto evidente anche nelle situazioni di disturbi dell'umore, come la
depressione, o di disturbi nevrotici o psicotici, in cui è difficile rinvenire episodi
esterni di realtà chiaramente e univocamente rapportabili all’insorgenza
sintomatica, e in cui un qualsiasi osservatore esterno non riesce a
identificare eventi esterni eclatanti. Lo Scompenso appare quindi
derivante da una costruzione del tutto personale, non immediatamente e
facilmente ricostruibile, nemmeno da un professionista della salute mentale.
Per tale motivo per dare inizio ad una valida terapia si parla di diagnosi
processuale, ossia basata sull'ascolto e sulla ricostruzione insieme al
paziente di ciò che è successo nella sua mente. La diagnosi descrittiva,
sebbene utile al professionista, o ai professionisti in dialogo tra loro, per cogliere degli aspetti salienti
nel definire e categorizzare un tipo di disturbo piuttosto che un altro, i
suoi sintomi, le caratteristiche delle persone come età, genere, cultura di
appartenenza, il decorso, la prognosi, ecc., non può tuttavia cogliere
la soggettività e l'originalità della personalità, nelle sue risorse e nei
suoi limiti.
Ciò significa che l’evento di perdita, anche quello più drammatico, come la
morte di una persona cara, o un evento considerato dal senso comune traumatico
(violenze, guerre, essere vittime di calamità naturali) non sono in se stessi fattori di scompenso, ossia in grado
di elicitare una depressione clinica o altra patologia e nemmeno sono per
tutti stressanti allo stesso modo.
L’originalità costruttiva dell’essere umano lascia spesso a bocca aperta il
senso comune o i tentativi di categorizzazione oggettiva sia nel vivere gli
eventi, sia nella capacità personale di affrontarli e superarli.
In caso di una grave depressione clinica o di una grave nevrosi o psicosi
lo psicoterapeuta (psicologo) lavora in team con lo psichiatra (medico),
per il supporto di psicofarmaci che consentano l’attenuazione dei
sintomi; ed eventualmente anche con un neurologo in caso di una
sospetta causa organica. Questo perché, se i sintomi sono molto intensi, il
paziente non ha nemmeno le energie e la motivazione per affrontare una
terapia.
La durata del trattamento e i risultati dipendono da un insieme di fattori:
età, cronicizzazione nel tempo, gravità, presenza o meno di terapie precedenti
interrotte o fallite, capacità di elaborazione personale. E’ ovvio che, nel
caso di un disagio esistenziale, conseguente ad es. alla perdita di una
persona cara, la durata del trattamento in linea di massima è più breve e con
una prognosi di risoluzione più favorevole rispetto ad una
depressione clinica conclamata.
In fase di terapia,
fra i vari aspetti che si considerano, si lavora per riconoscere e/o
rielaborare i sintomi o la crisi come parte di Sé e della propria storia di
vita, vagliando scenari futuri alternativi più funzionali rispetto a quelli
limitati e catastrofici della sindrome depressiva o pessimisti della crisi
depressiva in atto.